Capodanno in Uzbekistan
Quando dicevo che avrei passato il Capodanno in Uzbekistan, leggevo subito la perplessità nell’espressione degli interlocutori : quasi nessuno sapeva individuare questo paese sulla carta geografica. Le cose andavano meglio se nominavo Samarcanda; Vecchioni e Santoro hanno certo avuto qualche merito nel renderne popolare almeno il nome. Eppure far coincidere il viaggio in Uzbekistan con la visita di Samarcanda è estremamente riduttivo; il paese possiede molteplici elementi di fascino, ad iniziare da Khiva, la prima città che visitiamo, in mezzo al deserto, chiusa in un integro giro di mura d’argilla, splendente in un freddissimo sole (-15°) con i suoi minareti coperti di maioliche colorate, con le cupole delle scuole coraniche di un azzurro che fa sbiadire quello del cielo. E’ giornata propizia per i matrimoni e subito incontriamo la variegata umanità di questo paese: volti che denotano nelle loro diversità l’intreccio dei popoli che hanno percorso, per commerci o scorrerie, la mitica via della seta; costumi multicolori, sorrisi ingenui verso i turisti con cui non hanno ancora una smaliziata familiarità. La città è come sospesa fuori del tempo; pochi i segni di modernità, poche le auto (ma le ragazzine che vendono cartoline e libri cominciano ad azzardare qualche parola in italiano). Dedichiamo l’intera giornata a camminare per le stradine che rivelano una nuova bellezza ad ogni angolo; la notte ci regala la visione di un cielo stellato che il nostro inquinamento luminoso non ci permette più di ammirare: il canto notturno del pastore errante dell’Asia, di leopardiana memoria, qui è ancora attuale e conserva intatta tutta la sua carica emotiva.
Il giorno successivo facciamo tappa a Bukhara, città celebre per i suoi tappeti, già famosa e grande ai tempi di Marco Polo, e sperimentiamo nuovamente la magia degli antichi edifici ornati da portali, cupole e minareti, dei mercati animati da una folla variopinta. Non ci sono molte concessioni al turismo, l’atmosfera è autentica ed ogni piccola cosa è motivo di curiosità e di meraviglia. Ancora scuole coraniche, ancora moschee e minareti, ancora mausolei; eppure non c’è ripetitività nello scintillante gioco policromo delle maioliche, nelle esili colonne di legno di pioppo delle moschee, nei soffitti coperti di stucchi e dorature. Bukhara è più moderna di Khiva, ma nelle sue vecchie piazze il tempo sembra essersi fermato e nulla spezza l’illusione di aver fatto un viaggio in un’epoca lontana, nel mondo leggendario delle antiche rotte carovaniere.
L’impressione ritorna, ancora più vivida, quando si attraversa la steppa tra Bukhara e Samarcanda: pascoli a non finire, ora bruciati dal gelo, che- come dice la nostra guida- diventeranno in primavera dei tappeti di fiori; piccole case d’argilla col tetto di paglia, recinti per il bestiame, un mondo immobile e legato a ritmi di vita ancestrali.
L’arrivo a Samarcanda pone fine bruscamente all’incanto; l’ampio viale di accesso, con semafori e grandi edifici, ci ricorda che il tempo va avanti e che anche l’Uzbekistan sta diventando un paese moderno; c’è quasi il timore che la città, dopo tante aspettative, possa deludere, anche se lo skyline al tramonto ci offre altre cupole ed alti minareti. Ma il giorno successivo ogni timore si rivela infondato; visitiamo l’antico Osservatorio astronomico, il Mausoleo di Tamerlano, la necropoli, in un crescendo di bellezza che culmina con la celebre piazza del Registan, immota in un tramonto struggente e piena di fascino.
Taskent, la capitale, è una città non priva di attrattive, anche se prevalentemente moderna, ma ha il grosso difetto di essere la tappa successiva a Samarcanda, purtroppo l’ultima di un viaggio veramente entusiasmante.
La guida locale, una preparatissima ragazza tagika che parla molto bene l’italiano, ci ha aiutato a capire, durante il tragitto, l’anima del paese con le sue contraddizioni e le sue difficoltà, in bilico tra l’immobilismo del passato e le speranze per il futuro.
“E’ così lontana Samarcanda” cantava Vecchioni; non dategli retta, si sbagliava.
Vorrei solo suggerire di non partire a chi non sopporta di perdere, anche per poco, le comodità che diamo per scontate: ci sono a volte black-out elettrici, il clima è estremo nel caldo e nel freddo, il cibo abbastanza monotono. Piccoli disagi, ma la bellezza va anche un po’ conquistata, per apprezzarne di più il valore.
Baldoni Paola
Il giorno successivo facciamo tappa a Bukhara, città celebre per i suoi tappeti, già famosa e grande ai tempi di Marco Polo, e sperimentiamo nuovamente la magia degli antichi edifici ornati da portali, cupole e minareti, dei mercati animati da una folla variopinta. Non ci sono molte concessioni al turismo, l’atmosfera è autentica ed ogni piccola cosa è motivo di curiosità e di meraviglia. Ancora scuole coraniche, ancora moschee e minareti, ancora mausolei; eppure non c’è ripetitività nello scintillante gioco policromo delle maioliche, nelle esili colonne di legno di pioppo delle moschee, nei soffitti coperti di stucchi e dorature. Bukhara è più moderna di Khiva, ma nelle sue vecchie piazze il tempo sembra essersi fermato e nulla spezza l’illusione di aver fatto un viaggio in un’epoca lontana, nel mondo leggendario delle antiche rotte carovaniere.
L’impressione ritorna, ancora più vivida, quando si attraversa la steppa tra Bukhara e Samarcanda: pascoli a non finire, ora bruciati dal gelo, che- come dice la nostra guida- diventeranno in primavera dei tappeti di fiori; piccole case d’argilla col tetto di paglia, recinti per il bestiame, un mondo immobile e legato a ritmi di vita ancestrali.
L’arrivo a Samarcanda pone fine bruscamente all’incanto; l’ampio viale di accesso, con semafori e grandi edifici, ci ricorda che il tempo va avanti e che anche l’Uzbekistan sta diventando un paese moderno; c’è quasi il timore che la città, dopo tante aspettative, possa deludere, anche se lo skyline al tramonto ci offre altre cupole ed alti minareti. Ma il giorno successivo ogni timore si rivela infondato; visitiamo l’antico Osservatorio astronomico, il Mausoleo di Tamerlano, la necropoli, in un crescendo di bellezza che culmina con la celebre piazza del Registan, immota in un tramonto struggente e piena di fascino.
Taskent, la capitale, è una città non priva di attrattive, anche se prevalentemente moderna, ma ha il grosso difetto di essere la tappa successiva a Samarcanda, purtroppo l’ultima di un viaggio veramente entusiasmante.
La guida locale, una preparatissima ragazza tagika che parla molto bene l’italiano, ci ha aiutato a capire, durante il tragitto, l’anima del paese con le sue contraddizioni e le sue difficoltà, in bilico tra l’immobilismo del passato e le speranze per il futuro.
“E’ così lontana Samarcanda” cantava Vecchioni; non dategli retta, si sbagliava.
Vorrei solo suggerire di non partire a chi non sopporta di perdere, anche per poco, le comodità che diamo per scontate: ci sono a volte black-out elettrici, il clima è estremo nel caldo e nel freddo, il cibo abbastanza monotono. Piccoli disagi, ma la bellezza va anche un po’ conquistata, per apprezzarne di più il valore.
Baldoni Paola